Intervista per Libero: “Renzi non aspetti. Subito il congresso e simbolo unico”

Onorevole Matteo Richetti, scusi, ma che fine ha fatto il Terzo Polo, l’orizzonte luminoso dei moderati, la proposta che spariglia ma non piglia? Da capogruppo della Camera di Azione/Italia Viva (più Azione che Italia Viva): farete il “partito unico”? Quando? E se sì, chi comanda, Renzi o Calenda?

«Non infiliamoci in questa polemica triste, su chi comanda e chi arriva prima, la prego. Il partito unico è necessario: c’è già un popolo di riferimento e parte degli elettori ha dimostrato, non andando a votare, che serve una proposta politica lontana dal populismo, in chiave riformista».

E sta bene. Ma le ripeto: alla fine chi comanda?

«Che discorsi. Gli organigrammi non si fanno a freddo, a tavolino (almeno noi non facciamo così): bisogna resettare tutto, e su un foglio bianco ridisegnare tutto. Dagli iscritti nasce un congresso, e da li si decidono leader e classe dirigente. Sennò se si vanno a blandire gli iscritti uno alla volta, si ritorna al sistema delle tessere…».

Ok. Però, in voi albergano due scuole di pensiero: Calenda il congresso vorrebbe farlo subito, Renzi dopo le elezioni europee. Come ne uscite?

«Certo che il nuovo congresso bisogna farlo subito: in caso contrario vorrebbe dire sprecare il patrimonio di credibilità accumulato. Meglio un congresso da marzo a settembre che dia vita a una costituente. Ora, nella coalizione ci sono i simboli dei due partiti di Renzi e Calenda, dovremmo pensarne a uno comune, e a un nuovo nome, che sia Partito Liberal Democratico a Uniti per la Repubblica. Fino ad oggi il leader naturale è stato Calenda».

Considerati I vostri due leader si dice che il terzo polo ha più ego che elettori. Considerate l’ipotesi di dedicarvi a nuovi bacini elettorali? Lei ha già fatto un appello ai cattolici, per dire.

<<Dobbiamo attirare vari mondi oltre i massimalismi ideologici (hanno i soliti punti fissi, tipo il superamento del Jobs Act, l’invio della armi in Ucraina) che vanno dai liberali ai cattolici. Non ce li vedo, nel Pd, Fioroni o Delrio votare Schlein, Bonacini o Cuperlo».

Pensate di fare un mea culpa sul fallimento delle candidata Moratti a Milano? O c’è sempre l’idea che a sbagliare siano stati gli elettori, come mi pare abbia detto il suo leader?

«Veramente Calenda ha solo detto che, fermo restando che gli elettori hanno ragione, qualche volta non fanno la scelta migliore, vedi la Brexit. Affermato ciò, Moratti, come D’Amato, erano sentiti non come novità dirompente ma come i “buoni” dei due poli, che non si sono reinventati. Gli elettori l’hanno percepito. Evidentemente per gli elettori lombardi Majorino e Fontana (che aveva già vinto contro Gori) erano poco credibili».

Crede nella rivoluzione del Pd dall’ascesa del prossimo segretario, chiunque esso sia?

«Il Pd – lo conosco bene – è il miglior sindacato del ceto politico che conosca. Chi vince epura gli avversari e mette i suoi, Punto. Il problema è che tutti i candidati vanno avanti a colpi di discussioni sull’entrata nel partito di Giarrusso, o su quanto sia buona o cattiva Meloni. Vorrei sentire parlare dei problemi legati al fisco, alle fragilità, agli enormi problemi delle Pa. O a tutto quello che riguarda la nostra industria, il sistema produttivo. Diciamo poi che il “campo largo” con Bonelli e Fratoianni resta al di fuor dei nostri orizzonti».

Al di là di una presunta  Opa sulla sinistra, Conte col Movimento 5 Stelle verrebbe considerato dal governo, attualmente, l’unica opposizione cui si dovrà trattare (per esempio sulla Rai o sul presidenzialismo). È cosi?

Conte sarà il vero leader della sinistra?

«Conte è un talentuoso trasformista: spazia dai cartelli con Renzi alla sinistra estrema. Ma la sua non è un’Opa ostile, c’è una parte del Pd che va da Bettini a Provenzano che gli dà corda. E mi dicono dal Pd che non è detto che, dopo il congresso, vincesse Bonaccini, gli sconfitti non confluiscano nel nuovo partito di Conte per poi rimettersi in coalizione col Pd. Solo che partirebbero da una condizione di forza del 17% contro il 15%. E non è detto che chi comandi non sia proprio Conte…».

A La7 Bersani ha rimproverato Calenda la strategia: «Tu prima devi individuare un nemico comune, che è la destra, poi trovi alleati per batterla», dopo viene tutto il resto, compresi i governi con componenti diametralmente opposte. È un modo vincente di fare politica?

«Questo è l’esatto contrario della nostra idea di politica. Comunque anche la destra sbatte sulle sue contraddizioni: non si parla più di riforme strutturali, di Ilva, di Autostrade, di balneari. Una volta passata l’emergenza, passa la paura: ha mai sentito riparlare di rigassificatori, ora che è calato il prezzo del gas?…».

(Intervista a cura di Francesco Specchia)