Direzione Pd, Richetti: “Il mio voto contrario”

Il senatore dem spiega i motivi del suo no al mandato a Zingaretti per formare un governo con il M5s. “È un’operazione molto pericolosa”

Intervista a Repubblica

“Il mio voto contrario? Un’invocazione a ragionare. Ma, sennò, così è un boomerang. Io non ero e non sono pregiudizialmente contro, come Calenda, all’idea di sedersi a ragionare nell’interesse del Paese con chi ha ridotto il Paese in questo stato. Però accidenti: un conto è un governo di altissimo profilo politico, con le più alte competenze. Altro è dover subire un veto dietro l’altro da Di Maio”. Matteo Richetti ha alzato il braccio, uno solo su 300 e passa, in direzione Pd. Unico voto contrario in un’altra rara mattinata di unità, almeno apparente, dei dem, con standing ovation per il leader Zingaretti. Un “carburante” prezioso per il rush (forse) finale del segretario dem.

Senatore Richetti, lei ha detto non ci sto, sapendo che si andava al Quirinale a dire sì a Conte premier. Un dissenso quasi postumo?  
“Certo, ho preferito il dissenso quasi postumo e preferisco l’irrilevanza politica, per rispetto della mia responsabilità e funzione politica. Ho semplicemente provato a ricordare che se questo governo non è all’altezza delle sfide che abbiamo davanti, si rischia di fare un’operazione molto pericolosa”.

Si è preso la briga di incrinare l’unità.
“In tanti dentro mi hanno detto: ma così ti fai fuori da solo. Però sui territori da tanti, anche amministratori, ho ricevuto telefonate e messaggi; mi hanno detto ‘sarai magari solo là dentro, ma fuori non sei isolato’. E attenzione, voglio essere corretto: la nostra base, questi elettori, non sono per il voto, ma non sono disponibili a sentire Di Maio che dice: preservo il mio ruolo, prendere o lasciare, oppure Conte prendere o lasciare. Fosse in me, avrei detto: stai tranquillo Di Maio, lasciare. Siccome tu hai lasciato il Paese senza governo e le istituzioni senza dignità, poi lascerai anche i voti. La devono smettere con un atteggiamento prevaricante, dopo aver causato loro questa situazione”.

Concretamente: lei non condivide Conte come premier bis.
“Purtroppo dopo aver votato con convinzione la linea del segretario nell’ultima direzione, sulla discontinuità, ci ritroviamo con Conte premier e Di Maio dentro? Ma qui si è ragionato: ci devono essere amici di Di Maio e amici di Zingaretti. Questo non solo è sbagliato, ma molto rischioso. Da giorni avevo fatto i nomi di importanti personalità: Giovannini all’Ambiente, Cantone alla Giustizia, Barca alla Coesione territoriale, e poi Becchetti, Magatti, Bonino. Siccome i gruppi dirigenti si sono avversati per anni, io dico: oggi mettiamo davanti un programma e una squadra che affronti i problemi dell’Italia, in una logica di solidarietà, di giustizia sociale, in un’ottica opposta rispetto a quella con cui si è mossa questo governo. Ma attenzione: lo devono capire che è all’opposto. Perciò, non credo che partire dallo stesso premier sia un buon inizio. E non credo che ipotizzare che la squadra con dentro i gruppi dirigenti sia un buon inizio. Il Paese rischia di vederla come un’operazione di ceto politico e non di interesse nazionale”.

Immaginava di far uscire Di Maio dal governo?
“Ma mettiamola giù con la giusta impostazione. Qual è il programma? Ambiente, democrazia, nuova generazione, il lavoro. Va bene, in politica quando usiamo i titoli ce la caviamo. Ma questo può funzionare in terza elementare. Se vogliamo ragionare da adulti, bisogna sciogliere i nodi e spiegare come, dove, perché. Senza scomodare la Tav, Ilva, il Tap, tutti temi che pure restano sul tappeto. Ma i 5 Stelle propongono ancora oggi il ritiro delle concessioni autostradali: e noi cosa pensiamo di questo? Si può fare un patto su questi contenuti? E noi come siamo messi con i ministri Toninelli e Trenta che hanno firmato la chisura dei porti? Ma è possibile che il lunedì questi signori la pensino come Salvini e il venerdì la pensino come il Pd? Per me, non possono far parte di questo governo ministri che hanno condiviso misure che hanno leso diritti, convivenza, le basi della democrazia per come la conosciamo. È una cosa seria. E ci sono e restano quelle diversità di visione della politica, della rappresentanza e del mondo”.

Ma alla base della sfida c’era questo: trovare punti in comune per il bene del Paese.
“Appunto, ma rivolgendosi a grandi ed elevate figure. Ma Fraccaro ha un’idea della democrazia in cui partiti, associazioni, non servono. Io non sono uno da piattaforma Rousseau. Bonafede ha idee che vanno su un sentiero di giustizialismo sfrenato. Ecco perché, pur comprendendo lo spirito di un accordo da farsi, non dicevo no a priori. Dicevo, a causa di queste divergenze forti, affidiamoci a persone di spessore col sostegno dei gruppi dirigenti”.

Richetti, sembrerebbe scontato il suo voto contrario a questo governo, se ci sarà. O no?
“Non è corretto. Ad oggi non posso rispondere di un governo che non c’è. Non ne conosciamo né la formazione né il programma. Lo vedremo”.