Regolamentare le migrazioni: dall’inizio alla fine

Stefano Allievi

Il contributo di Stefano Allievi, amico e collega del Comitato Promotore di Azione

Per motivi demografici (calo e invecchiamento della popolazione, diminuzione della forza lavoro), economici e sociali (l’80% dei lavoratori stranieri è inquadrato come operaio, spesso in settori dove la manodopera è carente), l’Italia, come qualsiasi altro paese sviluppato, dovrà convivere con l’immigrazione (e, per altre ragioni, con l’emigrazione) come fattori strutturali della propria vita: stabili, non emergenziali; permanenti, non temporanei; fisiologici, non patologici. Ma possono essere tali solo se sono gestiti, guidati da una corretta lettura della realtà e da uno sguardo capace di andare oltre le contingenze dell’oggi.

Cosa che non è avvenuta certamente durante il precedente governo giallo-verde, con Ministro dell’Interno Salvini – che con i suoi Decreti Sicurezza ha creato più problemi di quelli che pretendeva di risolvere, e proprio relativamente all’irregolarità e insicurezza che voleva diminuire – ma che non avviene in realtà da molto tempo e da molti governi, durante i quali le decisioni sono state prese quasi sempre in una logica emergenziale.

L’azione dell’attuale governo giallo-rosso non sembra neanch’esso capace di una risposta all’altezza della sfida. Si limita, per ora, a tamponare alcune falle, senza prospettive di costruzione di un modello alternativo che sono invece indispensabili.

Lo si è visto con la regolarizzazione estiva, per tamponare la carenza di manodopera soprattutto in agricoltura. Che andava fatta diversamente: cogliendo l’occasione per regolamentare strutturalmente l’intera filiera, non solo per regolarizzarne temporaneamente un pezzetto.

Un problema analogo si pone anche con i decreti sicurezza voluti dal precedente governo, più noti come Decreti Salvini. Erano sbagliati, e andavano corretti. Ma anche in questo caso, bisognava cogliere l’occasione per affrontare seriamente il problema affrontandone i nodi strutturali, non tamponando ancora una volta l’emergenza. Si è scelto di non farlo, con il rischio che l’opinione pubblica non capisca, e legga l’intero processo come un passaggio da una legislazione contro gli immigrati a una legislazione (nominalmente) pro-immigrati (ma strutturalmente inefficace, o troppo poco efficace): che è precisamente ciò che la narrazione salviniana vuole.

Nel testo approvato si recepiscono le osservazioni del Presidente della Repubblica, in particolare sulle spropositate multe alle ONG, e il pronunciamento della Corte Costituzionale che aveva già dichiarato illegittimo lo stop all’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo (ripristinandola, obbligando i Comuni al rilascio di una carta d’identità di durata triennale, limitata al territorio nazionale – ciò che consente di avere meno irregolarità, che i Decreti invece producevano pur dicendo di volerla combattere). E questo è naturalmente utile e giusto. L’intento chiaramente punitivo degli interventi di soccorso, del tutto sproporzionato in sé e configurante di fatto come fattispecie di reato le operazioni stesse di salvataggio di esseri umani, viene meno. Si ripristina di fatto – anche se con nome e modalità diverse – la protezione umanitaria abolita dal precedente governo: restituendo così margini di discrezionalità alle Commissioni territoriali. Vengono estesi, a chi dovesse beneficiare della protezione umanitaria, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana, i servizi di orientamento legale e la formazione professionale: cose che favoriscono l’integrazione dei richiedenti asilo.

Aumenta anche il numero di lavori per i quali si può chiedere la conversione in permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato di permessi di soggiorno originariamente concessi per altri motivi: tra gli altri, studio, attesa di cittadinanza, minori non accompagnati diventati nel frattempo maggiorenni, soggetti con protezione speciale stessa. E anche questo è saggio: non farlo equivale a implementare il lavoro nero, e la stessa residenza irregolare, come di fatto accaduto in questi anni, producendo così maggiori rischi in termini di conflittualità e sicurezza.

Vengono infine ripristinati – e allargati nell’utenza potenziale – i sistemi di accoglienza integrata per richiedenti asilo e rifugiati gestiti dai comuni (gli SPRAR, poi SIPROIMI, oggi SAI: Sistema di Accoglienza e Integrazione). E pure questa è cosa buona e giusta.

Con poco coraggio, il termine massimo di durata del procedimento di concessione della cittadinanza, che era di due anni, portato all’irragionevole lunghezza di quattro anni dai Decreti Sicurezza del governo Conte 1, scende al termine compromissorio di tre anni.

Si tratta di misure complessivamente condivisibili. Tuttavia assolutamente insufficienti. Più che quello che c’è, conta infatti quello che manca, in questi decreti: il governo del fenomeno migratorio nel suo complesso, dalle sue cause (e dalle sue origini) alle sue conseguenze. Qui, di fatto, ci si occupa delle conseguenze. Con il risultato che i problemi si riproporranno tali e quali.

Mancano infatti gli Accordi di cooperazione e di gestione del fenomeno migratorio (con l’individuazione di criteri ragionevoli e ragionati di ingresso regolare, solo modo efficace per compensare e controllare i flussi irregolari), con i Paesi d’origine.

Mancano le politiche di controllo e pattugliamento delle frontiere (in collaborazione con l’Unione Europea, dato che la frontiera mediterranea è di fatto frontiera esterna della UE).

Manca la programmazione dei flussi regolari sulla base delle esigenze del mercato del lavoro, di concerto con le organizzazioni interessate.

Manca la proposta di revisione degli Accordi di Dublino e una seria politica di concertazione con l’Unione Europea sui fabbisogni complessivi di manodopera, e l’individuazione di criteri condivisi di ingresso.

Mancano le politiche di integrazione (linguistica, culturale, lavorativa) per tutti gli immigrati, non solo dei richiedenti asilo: ciò che favorisce un inserimento effettivo e diminuisce le possibilità di conflitto sociale.

Mancano forme ragionevoli di concessione della cittadinanza alle seconde generazioni, secondo le modalità dello ius culturae.

Manca una riflessione seria sui rimpatri dei residenti irregolari, che non possono rimanere argomento tabù per l’incapacità di implementarli: altri Paesi li fanno in numero maggiore, anche assistiti (in collaborazione con gli enti internazionali a questo preposti, come OIM e UNHCR), e cominciando da coloro che hanno precedenti penali.

Manca infine un’analisi della gestione ordinaria delle migrazioni: che dalle modalità di accoglienza alla velocità nel rilascio permessi di soggiorno, sia soggetta a controllo di efficacia e correttezza di gestione, con una valutazione periodica della rispondenza delle politiche adottate agli intenti.

Le migrazioni sono fenomeno stabile, di lungo periodo, che interessa ambiti molteplici: serve una legge organica che la regolamenti nella sua interezza. La politica italiana ha altalenato tra aperture di fatto, flussi non programmati, accoglienza spesso mal gestita, e logiche di capro espiatorio e spinte alla chiusura al limite e oltre il limite della xenofobia dichiarata, agitando i problemi non per risolverli, ma per lucrarne consenso, e andando persino contro i propri valori e interessi. Occorre invece un governo razionale, serio, e non sottoposto a spinte ideologiche, del fenomeno.

Stefano Allievi