Matteo Richetti è co-fondatore di Azione. Un passato nel Pd (quello col marchio Doc, Sassuolo e Modena), ex renziano, oggi è il braccio destro di Carlo Calenda con il pallino dell’organizzazione. Da Senatore – si dice sia stato il più giovane a Palazzo Madama – ha provato a far passare una legge sul riordino dei partiti improntata a dare un senso compiuto all’articolo 49 della Costituzione. Prevedeva trasparenza, scalabilità e regole certe per la democrazia interna: i veti – soprattutto, ma non solo – dei Cinque Stelle affossarono il tentativo.
Sono maturi i tempi per lavorare a un partito unico dei riformisti liberali?
Ogni giorno dico a Carlo (Calenda, ndr) che dobbiamo dare vita a un grande partito liberale, democratico e popolare che duri dopo di noi e dia all’Italia un grande spazio di aggregazione, come dice la Costituzione. Inizieremo con il nuovo ciclo di Azione a fare congressi, ad aprire comitati regionali e cittadini, sedi sul territorio, il tesseramento. Non un partito del leader ma un partito con un leader. Senza comitati elettorali ma con strumenti e piattaforme digitali che possano garantire modalità di interazione veloce, capaci di mettere insieme i seicento gruppi spontanei che oggi sono sorti in tutta Italia.
Un tassello di quel centro che già da ora darà un contributo per individuare un profilo per il Colle.
Oggi Draghi sta facendo il presidente del Consiglio in maniera straordinaria e spero che continui a farlo fino a che sarà possibile. Faccio tre nomi: Paolo Gentiloni, Pierferdinando Casini, Marta Cartabia. Tre di quelli che sentiamo a noi più vicini. Sgomberiamo il campo dagli equivoci, comunque; Draghi rimane a Palazzo Chigi e si voterà alle politiche nel 2023.
Azione vuole fare il partito di Draghi?
Lo siamo già, il partito di Draghi. Io sono stato a delle consultazioni in cui il Pd diceva Conte o voto, il M5S diceva Conte o Conte. Noi dicemmo: ci vuole una personalità dall’alto profilo internazionale, fuori da questi partiti. Non ho il problema di Letta, che oggi se lo deve intestare. Lo abbiamo invocato quando non andava di moda. Ma non è un uomo di parte e non sarà in campo alle politiche. Dunque le forze che si richiamano dentro al perimetro europeista devono porsi il problema di un diverso approccio. Perché Forza Italia e Pd in Europa guardano alla Von der Leyen e in Italia si fanno distrarre da Giorgia Meloni e Rocco Casalino? Noi vogliamo costruire un’esperienza di governo solida, di legislatura, ancorata all’Europa.
Brunetta nell’intervista a Repubblica ha certificato l’apertura di una nuova fase per una parte dei forzisti…
Le vorrei far vedere piuttosto un’altra cosa: quante persone abbandonano Forza Italia per entrare in Azione, da tutta Italia. Molte persone che dopo aver militato in quel partito, anche prima che parlasse Brunetta, si sono poste il problema della loro permanenza in termini risolutori. Il problema per la destra moderata e liberale è che è tagliata del tutto fuori dall’Europa.
C’è una interlocuzione?
Ho una interlocuzione quotidiana con i colleghi di queste aree, con quella sensibilità dentro Forza Italia. Dal Quirinale in poi ci sarà un profondo riposizionamento non dei singoli ma dell’intera proposta politica italiana. Ormai la marginalità dei Cinque Stelle è nelle cose, Di Maio può scriverci tutti i libri che vuole ma questo Paese ha capito che dalle difficoltà si esce con pragmatismo, buon senso e Agenda Draghi. Noi ce lo abbiamo talmente chiaro che su questo costruiamo le politiche del 2023.
Quali caratteristiche dovrebbe avere quello che chiamate fronte repubblicano?
Una coalizione liberaldemocratica e riformista che si allarga a chi fa riferimento a culture politiche chiare e serie che fanno dello Stato una presenza solida e regolatrice e non un attore di senza snaturare l’idea dello Stato liberale. Una coalizione che si rifaccia a una cultura garantista, che faccia del lavoro l’architrave e lo strumento per tirare fuori le persone dal disagio.
Aperta a sinistra, come vuole la sua storia.
Se mi costringete a ragionare con le vecchie logiche della politica, non ne usciamo. Io mi sento più a sinistra di tutto il Pd messo insieme. Azione è nata invocando scuola pubblica e sanità pubblica, figuriamoci. Ed è il partito che cresce, in questa area, di più. Non solo nei sondaggi, come dimostra il 20% di Roma.
Chi c’è nel suo dream team?
Andiamo verso una riaggregazione complessiva, non verso una somma di sigle. Spero che da domani si dia vita a un unico grande partito con dentro Mara Carfagna, Giorgio Gori, Tommaso Nannicini. Senza più chiedersi da dove si viene, ma dove si sta andando.