Quanto sta accadendo in Libano e in tutti gli scenari di guerra, presuppone un cambio di paradigma. E devono farlo anche delle grandi potenze.
L’attenzione e il rispetto che sta mostrando il ministro Crosetto verso questo Parlamento non sono né scontati né di poco valore.
In un momento come questo, il ministro è già intervenuto davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato, Esteri e Difesa, qualche settimana fa e lo fa oggi. Ieri sera sono tornato da una missione per conto della delegazione NATO di questo Parlamento. Una missione che si è svolta nelle basi NATO e americane sulle coste della Grecia, le più vicine a quelle del Golfo.
È una missione che evidenzia un’intensificazione delle attività di circa quattro volte rispetto al normale di pochi mesi fa.
Non so se la gravità di ciò che sta accadendo – ed emerge chiaramente dalle preoccupazioni del Ministro e anche dall’atteggiamento che ha mantenuto oggi durante questa informativa – riesca a trasmettere a tutti noi il senso della storia che stiamo vivendo.
Comprendiamo che la questione mediorientale attraversi posizioni, storie e interpretazioni legittime, e che spesso nel nostro dibattito emerga in modo comparativo rispetto ad altre crisi, ma l’attualità, come anche dalle sue parole, mette in evidenza i suoi limiti.
Il Ministro ha parlato con franchezza di Israele, nostro amico. Tuttavia, proprio questo amico ha colpito le basi UNIFIL, dove siamo impegnati in una missione di pace. È un’amicizia particolare quella di chi attacca una presenza pacifica del nostro Paese. Lo diciamo senza alcun intento polemico o accusatorio, poiché quella missione risale a ben prima del mandato del ministro Crosetto. Ma ci interroga sul fatto che questa vicenda, se letta ancora con gli occhi dei conflitti drammatici degli ultimi anni, non ci restituisce, forse, un presente in cui il tempo è già scaduto.
Molte sono le preoccupazioni e credo che non riusciremo a recuperare questa situazione, e provo a spiegare il perché: non ci riusciremo, in parte, perché non siamo all’altezza della gravità degli eventi. Nelle ultime ore, Francia e Germania stanno discutendo se continuare o meno a fornire armi a Israele, e considero questa discussione già una prima sconfitta nella sfida che ci troviamo di fronte.
Se non comprendiamo che è oggi o mai più il momento per un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, oggi o mai più per fermare il conflitto, restituendo anche alle famiglie israeliane la possibilità di superare il terrore vissuto il 7 ottobre, dopo sarà troppo tardi.
Il Ministro ha detto: “O c’è UNIFIL o c’è la guerra“. Io temo che la guerra possa comunque verificarsi anche con UNIFIL in campo, persino con un cambiamento delle sue regole d’ingaggio. Si è discusso molto di nuove regole: che tipo di ingaggio dovremmo dare? Certamente non possiamo lasciare i nostri soldati senza possibilità di intervento.
Lo diciamo senza polemica, ma con la consapevolezza che ci sono stati episodi: Hezbollah ha agito a 200 metri da una base UNIFIL, e con una presenza di 10.000 soldati, questa missione storica non è riuscita a prevenire tali incursioni. È evidente che c’è un enorme limite.
C’è bisogno di un cambiamento radicale nel modo in cui affrontiamo queste situazioni come comunità internazionale, che oggi è la grande assente. Non c’è dubbio che la domanda che mi sono posto in questi giorni sia: esiste ancora il diritto internazionale?
È chiaro che combattere il terrorismo è una priorità condivisa, ma questo non può mettere da parte il diritto internazionale, i confini degli Stati e la loro inviolabilità. Mai ci siamo trovati di fronte a una situazione di tale gravità, con così tanti fronti aperti contemporaneamente.
Abbiamo già vissuto la discussione sul continuare o meno a fornire armi in Libia, quando l’embargo sulle armi è stato imposto e la Russia ha iniziato ad armare Haftar, mentre la Turchia faceva lo stesso con i suoi oppositori. L’idea che smettere di fornire armi risolva il conflitto è illusoria, soprattutto in un mondo globalizzato, dove la produzione di armi sfugge al nostro controllo.
Non abbiamo una soluzione, ma come si può riprendere la via della diplomazia in una situazione come quella attuale, in cui Israele non sembra intenzionato a seguire richiami o chiarimenti? Quello che è accaduto è di una gravità inaudita e non credo ci sia la volontà di cambiare rotta. Inoltre, il radicamento simultaneo di forze terroristiche ha generato una situazione ingestibile.
Mi rifaccio alle parole con cui ha concluso il suo intervento al Senato il Ministro: “non bisogna rassegnarsi all’idea che, di fronte al conflitto, non ci sia una via di pace“. Non possiamo limitarci a discutere solo di conflitto, a prendere parte al conflitto, ad accettarlo.
C’è una soluzione, ma serve non solo un cambio di passo per la missione UNIFIL, ma anche un cambio di passo delle grandi potenze, tra cui spero, e mi auguro, sieda ancora l’Italia.
Lo diciamo senza polemica: oggi c’è un punto di debolezza, dettato dalle posizioni di alcune forze di maggioranza sulla questione ucraina. Non mi riferisco solo al vertice tra Biden, Francia, Germania e Gran Bretagna, ma anche al fatto che, per sedere tra le grandi potenze che vogliono preservare la pace, bisogna avere una posizione salda, basata sull’atlantismo e sull’europeismo, su cui non si può vacillare.