Essere in Azione non è solo uno slogan, e non perché io metta in dubbio l’efficacia del loro utilizzo.
Basta che se ne faccia un corretto uso, e non un abuso.
Essere in Azione rappresenta un obiettivo, quello di avere proposte per fornire le soluzioni e gli strumenti alla politica per agire nell’interesse di chi ci affida il voto, di quanti “prestano” attenzione alle nostre proposte non in quanto demolizione pura di tutto ciò che è stato fatto e che non proviene da noi, ma come una conciliazione delle idee, anche quando opposte.
L’esperienza del terzo polo è un “moto a luogo” che trae ispirazione proprio in questo, essere un’alternativa si, ma disposta a discutere, dialogare, costruire, e non contraria a prescindere.
Parto da questa premessa per parlare delle quattro proposte presentate da Azione, due per la maggioranza e due per le opposizioni “diverse da noi” (PD, M5S, Verdi/Sinistra Italiana, Europa), una delle quali già presentata come proposta di Legge, che è quella sull’introduzione di un salario minimo.
Quattro proposte che riguardano la sfera dei diritti, che dovrebbero essere acquisiti come tali e che spesso, al contrario, ledono la dignità delle persone, anche quando sanciti dalla nostra Costituzione (diritto alla Salute e dignità del lavoratore).
La prima proposta riguarda l’introduzione del salario minimo, una legge che vuol restituire dignità agli oltre 2,2mln di lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 9 euro l’ora(inclusi tredicesima e TFR). Il salario minimo a 9€/ora deve essere comprensivo, oltre che della tredicesima e del TFR, anche del c.d. “salario differito” (es: sanità integrativa) e degli eventuali benefit accessori (es: buoni pasto), e si applica a tutti i lavoratori dipendenti e a tutti i lavoratori saltuari e parasubordinati i cui corrispettivi economici sono determinati su base oraria.
Per finanziare questa manovra noi proponiamo di abolire le tasse sui premi di produttività fino a seimila euro l’anno e di non tassare gli aumenti salariali derivanti dalla contrattazione di secondo livello.
La seconda riguarda la Sanità e vuole sanare quello che è diventato un mancato rispetto ad un articolo della nostra Costituzione – il numero 32 – che sancisce la tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Non si può parlare di tutela di un diritto quando un sistema sanitario frazionato e mal funzionante obbliga ad una spesa di 40 mld di euro in sanità privata, “spesi” per aggirare una lista di attesa media di 24 mesi e il disagio (per la salute) di 98 milioni di prestazioni sanitarie non effettuate.
Noi proponiamo di abbattere le liste di attesa e smaltire 30 milioni di visite ambulatoriali in arretrato investendo 10 miliardi di euro, che possono essere coperti con gli 11 miliardi di euro derivanti da maggiori entrate ottenuta con la crescita economica (superiore alle previsioni iniziali) e minori spese, come per esempio il minor costo dell’energia e la contabilizzazione dei crediti di imposta edilizi negli anni precedenti. Per le restanti 68 milioni di prestazioni proponiamo di affidare alle strutture accreditate le prestazioni che il pubblico non riesce a erogare in 60 giorni.
E poi bisogna restituire dignità al lavoro di medici e infermieri, aumentando le indennità, aumentando il personale in qualità e quantità, vietando la pratica dei “dottori a gettone” e assumendo i medici specialisti in formazione sin dal primo anno.
Dobbiamo diminuire drasticamente gli accessi impropri al Pronto Soccorso potenziando l’attivazione di gestione domiciliare, e ridurre i tempi di attesa dei posti letto in reparto.
Al Governo invece chiediamo di ripristinare il piano Impresa 4.0, che nel 2017 portò un aumento del 10% degli investimenti, una crescita bloccata oggi dalla decisione di eliminare il credito di imposta per i beni strumentali, dimezzando e le aliquote del credito di imposta per i beni strumentali innovativi.
La nostra proposta, corredata come sempre da una o più soluzioni applicative, è di utilizzare una parte dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza previsti per il 2023 e 2024, ripristinando l’iper ammortamento (250%) per i beni strumentali innovativi e il super ammortamento (130%) per i beni strumentali nuovi; la misura costerebbe 6,6, miliardi all’anno a cui aggiungere i 4,5 miliardi di euro per estendere gli incentivi previsti per i beni tecnologicamente avanzati agli investimenti per la transizione ecologica.
Sempre con i fondi del Pnrr si potrebbe potenziare per 400 milioni di euro il credito di imposta per ricerca e sviluppo (dimezzato quest’anno) e reintrodurre il credito “formazione 4.0” il cui costo è di 150 milioni l’anno.
Infine Casa Italia, il cui dipartimento dal 2014 ha permesso l’apertura e la chiusura di 1445 cantieri per contrastare il rischio idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
Un investimento di 1,5 miliardi di euro che però è stato interrotto dal governo Conte I nel 2018, nonostante il 93,9% dei comuni in Italia abbiano aree al loro interno a rischio frane, alluvioni o erosione costiera, e il 18,4% del territorio nazionale sia classificato a pericolosità frane elevata o molto elevata.
Al Governo Meloni chiediamo di ripristinare il dipartimento Casa Italia con la struttura di missione Italia Sicura.