Il contributo di Aldo Berlinguer, professore di Diritto Comparato all’Università di Cagliari
In tutto il mondo le Zone economiche speciali (Zes) sono aree di attrazione di investimenti nei settori logistico, infrastrutturale e della produzione industriale. Sono di dimensioni ridotte, delimitate e al loro interno operano imprese e professionisti specializzati nella produzione, trasformazione ed esportazione di beni e servizi. Anche molti giuristi vi lavorano o vi collaborano in particolare sulle problematiche fiscali, doganali, del diritto dei contratti, delle società, della navigazione e dei trasporti.
Perché le Zes funzionino esse devono assicurare condizioni agevolate e di favore rispetto ad altre aree del Paese ove si trovano. Devono inoltre garantire certezza e rapidità, nell’interlocuzione col sistema pubblico lo- cale, adeguate infrastrutture e una attrattività economica e fiscale, tutti atout che debbono essere valorizzati in un cosiddetto “pacchetto localizzativo”: una sorta di patto, tra gestore e investitore, col quale vengono chiarite le regole del gioco. E sul quale l’investitore fa affidamento per un periodo sufficientemente lungo per rientrare dei costi dell’investimento e ottenere i profitti sperati.
Di tutto questo non sono dotate le Zes italiane, le quali sono tutt’oggi prigioniere di una dimensione incerta e contingente che di attrattivo ha molto poco. Ciò, a partire dalla loro disciplina, varata con un decreto legge nel 2017 e ancor oggi in via di completamento. Il primo decreto attuativo è stato emanato mesi più tardi, nel gennaio 2018, il secondo (dei due pre- visti) mai adottato. Al suo posto, si sono susseguiti altri interventi norma- tivi che hanno cambiato volto alle Zes (decreti “semplificazioni” n. 135/2018 e n. 76/2020, legge di Bilancio 2020 n. 160/2019), alcuni dei quali poi revocati (come il Piano grandi investimenti nelle zone economiche speciali, articolo 34, del Dl 34/2019, per il quale erano stati previsti 300 milioni di euro nel triennio 2019-2021).
In corso d’opera si è anche mutata la governance delle Zes (l’articolo 1, comma 316, lettera a), della legge di Bilancio 2020 ha modificato il com- ma 6 dell’articolo 4 del Dl 91/2017,) individuando come coordinatore un Commissario governativo (al posto del Presidente dell’Autorità di sistema portuale). Ma il Governo non li ha nominati, così paralizzando le Zes per oltre un anno (a oggi l’unico Commissario nominato, nell’ottobre 2020, è quello della Zes calabrese). Anche perché, nel frattempo, proprio sul pro- cedimento di nomina dei Commissari, è sorto il solito contenzioso costituzionale con le Regioni (la Sicilia), attualmente pendente. Le stesse Regioni, peraltro, indicate dalla normativa come soggetti proponenti, hanno tardato, non poco, a elaborare i piani strategici di “concepimento” delle Zes, contribuendo così a rallentarne l’istituzione (la Sardegna non è nep- pure ancora riuscita a terminare l’iter istitutivo).
Tanto per “distribuire” ulteriori benefici, sono nate, nel mentre (artico- lo 1, commi 61-65-quater, della legge 205/2017 – legge Bilancio 2018), le Zone logistiche semplificate (Zls): sostanzialmente l’omologo delle Zes (senza benefici fiscali, ha chiarito il Dl semplificazione n. 76/2020) per le Regioni del Centro-Nord, che si erano dette scontente per l’istituzione del- le Zes nel solo Mezzogiorno. E anche l’ambiente ha avuto la sua parte, con le Zone economiche ambientali (Zea), istituite, sempre con decreto legge, dall’articolo 4-ter del Dl 111/2019, il quale prevede che «il territorio di ciascuno dei parchi nazionali costituisce una zona economica ambientale» (Zea). Anche qui, non è ancora stato adottato il decreto del ministro dell’Ambiente che stabilirà criteri e modalità per la concessione delle misure di sostegno (non meglio specificate nella norma) alle imprese che in- vestono in questi territori. Ma il cosiddetto “decreto Rilancio” ha stanziato un fondo straordinario di 40 milioni di euro per le imprese che operano nelle Zea (articolo 227 del Dl 34/2020).
Insomma, un vero e proprio labirinto normativo nel quale attirare il malcapitato investitore. Ma la situazione più assurda riguarda i benefici economici e fiscali. I primi già nati male, in quanto disallineati rispetto al- la durata delle Zes (il Dl n. 91/2017 prevedeva benefici per investimenti previsti nei soli tre anni 2018-2020, poi prorogati dalla legge di Bilancio 2020 sino al 31 dicembre 2022, mentre la durata delle Zes è di minimo sette anni, salvo proroghe), i secondi ancorati (più o meno direttamente) a vecchi provvedimenti del 2000, 2006, 2016 (legge 388/2000 – Finanziaria 2001-; legge n. 296/2006 – Finanziaria 2007; legge 208/2015 – legge di Stabilità 2016). Anche qui, la foresta normativa è pressoché inestricabile.
Si noti, peraltro, che ciascuno dei provvedimenti citati prevedeva altrettanti crediti di imposta con caratteristiche divergenti. Mentre infatti i “bo- nus” del 2000 e 2006 erano non tassabili, quello del 2016, cui la normati- va Zes si richiama (comma 2 dell’articolo 5 del Dl 91/2017 con la solita locuzione: «in quanto compatibili»), lo è. Ciò significa che l’Erario, al con- tempo, dà e toglie benefici all’investitore in base alle aliquote di tassazione a esso applicabili. Per capirci, una piccola impresa che svolge 100.000 euro di investimento in area Zes matura un credito di imposta pari a 45.000 euro ma, dovendo tener conto di una tassazione (pari quasi al 30%, Ires + Irap), deve restituire allo Stato oltre 13.000 euro.
Da notare, inoltre, che paradossalmente il credito di imposta Zes non si applica alle attività produttive nei settori: carbonifero, siderurgico, della logistica e dei trasporti, della cantieristica navale, delle fibre sintetiche, della produzione e distribuzione di energia, delle infrastrutture energetiche, creditizio, finanziario e assicurativo. Alcuni dei quali assolutamente strategici per lo sviluppo delle stesse Zes.
Da ultimo il legislatore ha varato ulteriori incentivi. Ma non li ha con- centrati sulle Zes, così diminuendo l’attrattività specifica di queste ultime rispetto agli altri territori. La legge di Bilancio 2020 (n. 160/2019, articolo 1, commi 184-197) ha infatti introdotto un nuovo credito di imposta per le spese sostenute a titolo di investimento in beni strumentali nuovi (model- lo Industria 4.0) prevedendo, questa volta, la sua non assoggettabilità a prelievo fiscale (comma 192). Si tratta di una misura rivolta a tutto il territorio nazionale.
Si è invece prevista una cumulabilità tra incentivi diversi (bonus Sud, originariamente non cumulabile, e credito Industria 4.0). Infatti, l’agenzia delle Entrate, chiamata a esprimersi – a seguito di interpello – ha confer- mato la cumulabilità del bonus Sud con il credito di imposta riconosciuto dalla legge di Bilancio 2020 (risposta n. 360 del 16 settembre 2020). Ciò che, in pratica, si traduce nella possibilità di cumulare crediti di imposta rivolti a medesimi beni ma assoggettati a diverso regime fiscale.
Il tutto per non parlare della durata degli incentivi, sempre molto ridotta e sempre affidata all’alea di eventuali proroghe da largire cammin facendo. Sembra inoltre che nel Ddl di bilancio 2021 verrà rinnovato per 2 anni il bonus Sud (quello soggetto a tassazione omologo al credito di imposta per le Zes). Il che è plausibile visto che la misura è in scadenza al 31 dicembre 2020.
Nulla è invece previsto, almeno a oggi, per le risorse destinate alle Zes; siamo fermi alla originaria previsione secondo la quale «Agli oneri deri- vanti dai commi 2, 3 e 4 valutati in 25 milioni di euro nel 2018; 31,25 milioni di euro nel 2019 e 150,2 milioni di euro nel 2020 si provvede mediante corri- spondente riduzione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione programmazione 2014-2020» (comma 5 dell’articolo 5 del Dl n. 91/2017).
Insomma, più che un quadro normativo e regolamentare chiaro e defi- nito, quello appena tratteggiato sembra un dedalo senza fine, nel quale anche gli esperti del settore fanno fatica a orientarsi. Per di più con risorse economiche anch’esse incerte e affidate alla logica delle proroghe di fine anno. Ciò che contraddice in pieno la filosofia delle Zes su tutti i fronti: gestione operativa, semplificazione amministrativa, chiarezza, durata ed efficacia degli incentivi.
Avevamo sperato che le Zes potessero finalmente essere aree “ad eco- nomia liberale”. Invece l’approccio è diametralmente opposto. Lo Stato tiene in ostaggio l’investitore con regole pletoriche e adempimenti burocratici. E distribuisce incentivi a singhiozzo, com’è abituato a fare con un sistema produttivo ormai prono e dipendente, sempre in attesa di capire se e come intraprendere dinanzi a un semaforo bloccato sul giallo.
Torna dunque in mente il noto brocardo medievale francese che, alla morte del sovrano, si pronunciava per accogliere rapidamente il successo- re (le mort saisit le vif) senza lasciare, per troppo tempo, un vuoto istituzionale: Le Roi est mort, vive le Roi! Speriamo che, ispirandosi a esso, il Go- verno trovi il coraggio di tirare una linea, archiviare questa infelice partenza, disboscare la foresta normativa e rilanciare le Zes verso nuova vita. Quella attuale è la triste riedizione di altri esperimenti del passato, di sostegno economico al Sud, che non hanno portato beneficio ad alcuno.