Verso le primarie PD, parla Richetti: «Apriamo ai moderati ma no alleanza con M5S»

BARI – Senatore Matteo Richetti, modenese, candidato alle primarie del Pd, ieri a colloquio con il direttore Giuseppe De Tomaso nella redazione della «Gazzetta». Da dove ripartirebbe il partito sotto la sua guida?

«Da un’idea di comunità basata sul rispetto delle regole e delle istituzioni. Servono idee ed energie nuove per rimettere in piedi un partito dove per troppo tempo si è parlato di cambiamento senza realizzarlo davvero».

Se il riferimento è alla stagione renziana lei ne è stato uno dei protagonisti. Pentito?
«No, affatto. In quella fase realmente si è provato a inaugurare una stagione nuova superando i vecchi steccati della sinistra italiana e rompendo alcune liturgie che non avevano più senso. Non rimpiango e non rinnego».

E allora cosa è andato storto?
«Renzi non è caduto per ciò che ha fatto ma per ciò che non ha fatto. Non puoi invocare il cambiamento e poi allestire primarie con Andrea Cozzolino e Vincenzo De Luca. Ciò detto in quella fase i conti del Paese sono migliorati e tanto di buono è stato fatto».

E quindi qual è il piano? Si muoverà nel medesimo solco ma cercando di non ripetere gli stessi errori?
«L’obiettivo è andare oltre, puntando ad essere più radicali nella gestione di un partito che deve trovare fondamento nella società, nella sua carne viva».

Ma questo partito lo immagina come forza autosufficiente o al centro di una alleanza più larga?
«Il problema del centrosinistra è che c’è un grande popolo ma sigle poco autorevoli. Pensare di costruire un’alleanza con D’Alema e Bersani per Leu e qualche post-democrastiano per il centro non ci porta da nessuna parte. Io sono per una grande operazione che parli a quella parte del Paese pronta ad abbracciare istanze riformiste, europeiste e ambientaliste».

Somiglia tanto a quel «fronte repubblicano» dei responsabili da molti invocato. È così?
« Un movimento democratico che metta insieme quel popolo a cui facevo riferimento è una operazione giusta da perseguire. Se dovessi diventare segretario non avrei remore a dar vita a un momento costituente di uno spazio più largo».

Potrebbe rientrarvi anche Forza Italia?
«Non è questione di Forza Italia o di Berlusconi. Il punto è che una parte dell’elettorato riformista e moderato ha votato per gli azzurri. Ed è un passaggio che non demonizzo. Ma ora non possiamo lasciare quella fetta di cittadini nelle mani di una destra sempre più lepenista».

Allarghiamo lo sguardo. Cosa pensa di un possibile dialogo con il M5S?
«Oggi i grillini sono l’altra faccia della destra italiana. Parliamo di un movimento talmente postideologico da assomigliare ad un sacchetto di plastica trasparente che prende la forma di ciò che ci metti dentro. Se ci metti Salvini, ecco il risultato».

E se dopo il 4 marzo, invece della Lega, qualcuno avesse messo nel sacchetto il Pd?
«Ha senso utilizzare la politica in maniera così strumentale? L’intesa di governo con la Lega non l’hanno definita né patto né accordo, ma contratto. È aberrante. Qui mancano proprio le premesse per pensare a un dialogo».

Chi ha cercato a lungo una sponda nel M5S è Michele Emiliano. Cosa ne pensa del governatore pugliese?
«Lo conosco relativamente, ma ha fatto passare, presso il nostro elettorato, l’idea che i pentastellati fossero portatori di istanze di sinistra. Questo si è rivelato un grande inganno come insegnano i casi di Ilva o Tap. Ripeto, non sono quelli gli interlocutori. Piuttosto, direi a Michele di adoperarsi per il bene del partito. In troppi approfittano della debolezza del Pd per emergere come singoli».

Ha citato il gasdotto Tap. Qual è la sua opinione in merito?
«Sono convinto vada realizzato. La Puglia ha dimostrato di poter realizzare grandi interventi nel rispetto dell’ambiente. La bellezza di questa terra è intonsa. E la vittoria dei Verdi in Germania ci offre l’occasione per tornare a ragionare di politiche ambientali senza trattare i temi in maniera conservativa».

Altro nodo cruciale: il reddito di cittadinanza. Non la convince?
«No, anche se ritengo sia giusto non lasciare solo chi non ce la fa. Ma sa cosa mi fa più rabbia?»

Prego…
«Che il mio partito non sappia far altro che ribadire la presenza del Reddito d’inclusione piuttosto che mettere a nudo una misura disastrosa. Perché un imbianchino in regola dovrebbe rimanere tale e non, piuttosto, lavorare in nero incassando il reddito di cittadinanza?».

E allora che si fa?
«Suggerirei di fare il contrario: 500 euro di riconoscimento a chi lavora, magari a quei ragazzi impegnati in un tirocinio poco remunerativo che, presto o tardi, saranno costretti ad abbandonare. Con tutte le conseguenze del caso. Questa è la differenza con i gialloverdi: io voglio scommettere sull’operosità».

D’accordo, ma rimane il problema di chi si trova senza risorse né possibilità.
«Lì serve uno strumento europeo di protezione sociale. Una misura pensata a livello comunitario che forse permetterebbe di guardare all’Ue diversamente e non solo come ad una congrega di banchieri».

In materia economica, qual è la sua prima proposta?
«La compartecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Perché, soprattutto con Industria 4.0, se una azienda cresce esponenzialmente chi opera al suo interno non dovrebbe giovarsene anche economicamente?»

Il Pd, però, in passato, ha tassato gli utili delle imprese.
«Ed è stato un errore. Giusto abbassare le tasse ma il problema è che le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, di utili non ne fanno. È meglio alleggerirle a monte che a valle».

Anche gli 80 euro sono stati un errore?
«No, ma c’era un problema di criteri. Se uno senza figli vive con i genitori e guadagna 1400 euro prende il bonus. Chi ha tra figli, vive fuori ma prende 1700 di stipendio, invece no. Questo era il nodo critico».

Infine, la sinistra guarda alternativamente a Macron, Corbyn, Varoufakis. Lei che riferimenti ha?
« Il mio è Papa Francesco che ci insegna a non aver paura dell’impopolarità e a praticare la coerenza. Non come Macron che fa professione di europeismo e poi scarica i migranti in Italia».